La famiglia freddolosa

In un piccolo paesino situato sulla cima di un’alta montagna viveva la famiglia Freddolosa.
Papà Luca e mamma Rosa avevano quattro figli:
Martino della famiglia il più piccolino
Saretta, la più veloce, sempre di fretta
Simone a giocar con la neve un gran campione e Gabriella di tutti i fratelli era lei la più bella.
Nel paesino in cui vivevano c’era quasi tutto l’anno la neve e loro si divertivano un sacco a costruire pupazzi di neve alti come alberi e a lanciarsi palle di neve grandi come palloni da calcio.
Papà Luca era riuscito anche a costruire uno scivolo ghiacciato e una casetta di neve in cui i suoi bimbi potevano giocare quasi tutti i giorni dell’anno.
Mamma Rosa invece aveva cucito per i suoi piccoli dei pantaloni molto resistenti perché potessero scivolare, sullo scivolo ghiacciato, senza avere troppo freddo al sederino.
Ogni bimbo della famiglia Freddolosa, quando andava al parco del loro piccolo paesino, aveva il compito di guardare il fratellino più piccolo e di evitare che si facesse male durante i giochi con gli altri bambini. Capitava così che Gabriella per esempio controllava Simone, Simone stava attento a Saretta e Saretta si occupava di tenere sottocchio quella peste del piccolo Martino.
Se poi tutti e quattro i bimbi della famiglia Freddolosa si comportavano bene, una volta rientrati a casa dai giardini, ricevevano uno splendido regalo.
Mamma Rosa infatti preparava loro una buonissima cioccolata calda in cui si divertivano a inzuppare dei croccantissimi biscotti. A volte capitava che quel pasticcione del piccolo Martino si sporcasse tutta la faccia di cioccolato e che usasse la tovaglia per pulirsi, facendo arrabbiare tantissimo mamma Rosa.
Gli altri fratellini ridevano molto ma poi Gabriella cercava di rimediare alle monellate della piccola peste lavando quella tovaglia sporca di cioccolata prima che se ne accorgesse sua mamma.
La famiglia freddolosa continuò a vivere felice sino all’anno in cui arrivò un terribile inverno.
Faceva tantissimo freddo e i bambini battevano i denti tutto il giorno, tremavano brrrr………………
Con quel freddo così forte i bimbi furono costretti a stare in casa e a non poter uscire per andare in giardino.
Servivano dei giubbotti pesanti, ma papà Luca e mamma Rosa non avevano abbastanza soldini per comprarne ben quattro.
I bambini erano tristi perché volevano correre e saltare nel là fuori, e fare la battaglia con le palle di neve.
Un giorno, per fortuna, papà Luca ebbe una bellissima idea.
Si ricordò, infatt,i che nel lettone in cui dormiva con mamma Rosa c’era una spessissima coperta di quattro colori: giallo, rosso, blu e verde.
Decise allora, aiutato da sua moglie, di disfare quella coperta e con tutta quella lana fare quattro maglioncini per i suoi bimbi.
Un giorno, quando i bimbi ritornarono da scuola, trovarono quella bella sorpresa:
un maglione verde per Martino, il piccolino
uno blu per Saretta che va di fretta
uno giallo per Simone gran campione
e uno rosso per Gabriella la più bella
I quattro bimbi della famiglia freddolosa erano felicissimi.
Indossarono subito quei quattro maglioni colorati e ringraziarono mamma e papà per la loro generosità.
Quello stesso pomeriggio i quattro bimbi, dopo aver fatto tutti i compiti, sarebbero ritornati finalmente a giocare in giardino con i loro amichetti.
Una volta usciti di casa Martino, Saretta, Simone e Gabriella si presero per mano e iniziarono a correre.
E vissero tutti freddolosi e contenti!

Il mio nome è Crema, Sergio Crema

 

Io non combinerei nulla senza l’apporto della mia SQUADRA.

Senza di loro sarei come un attaccante che se ne sta tutta la partita nell’area di rigore avversaria senza ricevere alcun cross o passaggio filtrante, dai compagni, per realizzare la rete decisiva nella sfida che sta giocando.

Un numero nove solitario e intristito causa isolamento sul prato verde.

E invece no…

Sono un uomo fortunato perché al mio fianco, da qualche anno, ci sono tre colleghi che sopportano le mie lune storte e i miei sbalzi d’umore quando mi lascio travolgere emotivamente dalle indagini che conduco.

Il più fidato, amico oltreché collega, è l’ispettore Marco Quadrini, che definisco “il gaffeur” per la sua innata capacità di dire la cosa sbagliata nel momento giusto o la cosa giusta nel momento sbagliato, mettendomi in seria difficoltà.

Quando ciò accade, o durante un interrogatorio oppure con la Dottoressa Bonamico, tento sempre di fermarlo con la sola forza di un’occhiataccia, ma non sempre mi capisce.

In quei casi “rimedio”, appena siamo soli, sommergendolo di irripetibili improperi a cui lui solitamente replica peggiorando le cose.

Nonostante questa specie di inclinazione fantozziana so che posso contare sempre su di lui, anche fuori dalle quattro mura dell’ufficio.

Ci frequentiamo anche con le nostre famiglie. Lui non ha figli. Quella, per loro, è una ferita sempre aperta e a volte ci sto male anch’io, di riflesso.

L’idea che non possa provare ciò che prova un padre m’impedisce di parlargli in termini entusiastici dei miei ragazzi. I racconti sul nostro mondo sono sempre con il freno tirato e lui, probabilmente, lo sa.

È una forma di pudore, di rispetto, la mia.

Mi spiace Marco…

Poi c’è il sovrintendente Ansaldi, che definisco “il dotto”, per la sua cultura decisamente sopra la media e la capacità di analizzare fatti e circostanze con una meticolosità quasi maniacale.

Ansaldi sa tutto per definizione e la rete per lui non ha segreti.

Dall’analisi di un profilo Facebook riuscirebbe a risalire a eventuali cambiali protestate di un suo cugino di terzo grado.

Non so come faccia e non lo voglio nemmeno sapere perché io mi tengo il più possibile lontano, nella vita privata, da quelle diavolerie da Social Network.

Il mio braccio informatico non gira mai da solo perché da sempre fa coppia fissa con l’agente Marini, “il taciturno”.

Lui è uno di quelli che centellina le parole e rende difficoltoso ogni dialogo.

A volte penso che abbia firmato con la vita un contratto che comporti la decurtazione di un centesimo dal suo conto corrente per ogni parola pronunciata. Ormai ci siamo abituati, non ci facciamo più nemmeno caso.

Nelle rare occasioni in cui dopo un “sì”, un “sono d’accordo”, un “ok” o un “va bene”, aggiunge qualche considerazione in più scattano le prese in giro e lui ritorna nel suo stato di mutismo assoluto.

A livello livello fisico però non ce n’è per nessuno.

È il più preparto atleticamente di noi quattro, anche se non ci va molto a superare uno come me, da sempre cultore dello sport dal divano.

Ansaldi-Marini formano un duo che si completa perfettamente. Ansaldi spiega, racconta, motiva e Marini annuisce, conferma con monosillabi e cenni del capo.

Io e Quadrini abbiamo sempre avuto un curiosità non soddisfatta, quella di capire come interagiscono tra loro e come faccia “il dotto” a convivere, senza crisi di nervi, con i silenzi del collega.

Prima o poi, ne sono certo, arriveremo a spiarli con una cimice per toglierci quello sfizio.

E poi ci sono io, professione commissario.

Perennemente a dieta, pieno di dubbi e incertezze che falcidiano i miei giorni, padre di due capolavori e marito di una moglie paziente che sopporta le mie assenze e anche mie presenze.

Per risolvere le indagini faccio affidamento soprattutto sull’intuito e sul ragionamento in mancanza di doti fisiche da agonista della vita.

Poi ci sono di nuovo io, o forse, per meglio dire, l’altro io, quello che “sbava” dietro alla Bonamico, il magistrato “tutto pepe” con cui sono costretto a collaborare ormai da anni.

Non ho ancora capito se anche lei…

No, lasciamo perdere, inutile anche pensarlo.

Meglio ripetere la formazione, in attesa di scendere in campo:

Quadrini “il gaffeur”.

Ansaldi “il dotto”.

Marini “il taciturno”.

E il sottoscritto.

Il mio nome è Crema, Sergio Crema.

16730236_10211179627000452_4024817947857412310_n

 

 

 

 

 

Un delitto immane

 

Il commissario Sergio Crema e il critico cinematografico Mario Bernardini si ritrovarono davanti alla Trattoria Agnese alle 13 in punto. Il poliziotto aveva ricevuto una soffiata da parte di un collega fidato su quanto avveniva in quel ristorante e voleva verificarlo di persona. Approfittò di quella circostanza per rivedere l’uomo con cui aveva condiviso diverse indagini e con il quale, nonostante la diffidenza iniziale, si era consolidato, negli anni, un rapporto che assomigliava sempre di più all’amicizia.
Il settantenne, autore dell’omonima guida per cinefili, salutò il poliziotto con una potente stretta di mano prima di prendere la parola.
“È questo il posto?”.
“Sì, la location è ottima”, replicò il commissario.
“A pochi passi dalla Mole e da via Po, niente male”, lo assecondò il critico.
I due investigatori entrarono nel locale e vennero accolti da un corpulento padrone di casa che li fece accomodare nel tavolo più vicino all’uscita prima di sparire dalla loro visuale.
Il commissario si guardò intorno e apprezzò lo stile di quel luogo che trasmetteva sensazioni positive. I tavoli in legno, coperti da tovaglie quadrettate, e le pareti rivestite di mattoni a vista rendevano quel posto accogliente per i suoi occasionali visitatori. Anche le luci soffuse creavano la giusta atmosfera.
L’oste ritornò nel giro di pochi secondi e consegnò un paio di menù sdruciti ai due clienti.
“Due carbonare”, disse Crema, senza nemmeno consultare la lista.
“Avete le idee chiare”, commentò il ristoratore.
“Siamo uomini di sostanza, noi”.
Mario la buttò sul ridere per “tranquillizzare” l’omone che annotò su un block notes l’ordinazione.
“Per il vino faccia lei”, aggiunse il poliziotto.
“Perfetto”.
Quando furono di nuovo soli fu Bernardini a parlare, tirando fuori, come spesso capitava, la sua inclinazione a notare parallelismi tra cinema e realtà.
“Il posto è accettabile. Mi ricorda la trattoria in cui hanno ambientato l’episodio Hostaria del film I nuovi mostri del 1977. Regia di Monicelli, Risi e Scola, sceneggiatura di Age e Scarpelli, bei tempi”.
“Quello in cui si si tirano addosso il cibo, insudiciando tutto?”
“Esattamente. Ha verificato la soffiata di oggi?”.
“Certo, si tratta di una persona affidabile. È stato qua più volte e ha notato sempre la stessa cosa”, lo rassicurò il commisario.
“Ok, non ci resta che aspettare”.
“Infatti, Poi agiremo…”.
“Posso chiederle perché mi ha invitato?”, domandò Bernardini.
“Perchè lei è un’esteta e poi era una buona occasione per scambiare quattro parole. Non ci vediamo da qualche tempo e un po’ mi mancano quelle volte in cui lei arriva, senza preavviso, nella mia vita e mi trascina dentro qualche grana da risolvere”.
“Purtroppo Torino, negli ultimi tempi, ci ha offerto molto poco a livello di morti ammazzati”.
Il critico sembrava triste per quella circostanza.
“Per fortuna, Mario”, aggiunse il commissario.
“Mi racconti un po’ della sua squadra, allora”.
Il poliziotto riferì al critico le ultime vicissitudini del suo gruppo, in seno alla Mobile di Torino, e s’interruppe solo nell’istante in cui due piatti fumanti di spaghetti alla cabonara atterarono sul loro tavolo.
“Ecco qua. Buon appetito”, aggiunse il ristoratore prima di ritornare da dove era venuto.
I due investigatori si guardarono perplessi e cominciarono a districare quel groviglio di pasta, prima di assaggiarla in contemporanea.
Ci fu qualche secondo di disorientamento da parte di entrambi che terminò nel momento in cui Crema scattò in piedi. Bernardini lo seguì quasi immediatamente.
Gli altri avventori osservarono quella doppia camminata risoluta con curiosità. Non davano l’idea di essere due che si stavano avvicinando alla cassa solo per pagare.
Entrarono in cucina e fronteggiarono immediatamente il ristoratore.
“Cosa succede?”, domandò lui poggiando il piatto che reggeva sulla prima superficie libera.
“Piacere, sono il commissario Crema”.
“Ecco dove l’avevo già vista, In cosa posso esserle d’aiuto?”, disse l’omone arrossendo.
“Non so se lei lo sa, ma, oltre ad arrestare i criminali, ho una passione sfrenata per il cibo…”.
“Lo posso confermare”, s’intromise Bernardini.
“Lei, invece, deve essere il tizio che sa tutto sul cinema”, replicò il ristoratore.
“Esatto, Mario Bernardin nello specifico”.
“Continuo a non capire cosa sia accaduto, commissario”.
“Sono qui per contestarle una grave mancanza. Putroppo non è passible di arresto, ma ho il dovere di farglielo notare. Abbiamo già ricevuto altre segnalazioni”, il poliziotto sparò parole come fossero proiettili.
“Mi scusi, ma preferisco sedermi”.
Il proprietario della trattoria affossò il deretano sulla sedia più vicina.
“Non si preoccupi. Sembra cattivo, ma poi è peggio”, disse il critico sempre più divertito da quella situazione.
“Sono qui per farle notare che è un delitto immane…”.
Sergio si fermò per godersi l’istante.
“Cosa?”, domandò l’omone con un refolo di voce.
“È un delitto immane mettere la panna nella carbonara, una licenza poetica rispetto alla ricetta originale. Meglio usare l’acqua di cottura anziché la panna”.
Il ristoratore non disse niente, lasciando che Mario infierisse.
“É uno scontro epico quello tra i sostenitori della carbonara con o senza panna. Io e il commissario ci siamo schierati e non perdoniamo i ristoratori che si macchiano di questa vergogna”.
“E adesso?”, domandò l’oste risollevandosi dalla sedia.
“Adesso noi andiamo ad accomodarci di là e attendiamo le nostre nuove carbonare. Per fortuna almeno il guanciale l’avete usato”.
Il commissario e il critico ritornarono verso il loro tavolo, seguiti da un “ok” appena accennato dall’uomo che avevano sequestrato.
Nemmeno un quarto d’ora dopo, due carbonare, cucinate con tutti i crismi, vennero servite ai due investigatori gourmet che dettero parere positivo sulla nuova versione di quella ricetta.
Una volta ritornati in strada, Sergio e Mario sostarono qualche secondo di fronte all’ingresso di quel ristorante.
“Anche questa è andata”, disse Bernardini protendendo la mano verso il commissario.
“Andata”, replicò il poliziotto completando quel saluto.
“Mi tenga presente se c’è qualche emergenza, Sergio”.
“Non mancherò, Mario”.
Un attimo dopo iniziarono a muoversi in direzione opposta, un po’ come i loro caratteri così differenti, ma accomunati da due passioni: le investigazioni e la carbonara, senza panna naturalmente.

Sergio Crema e Mario Bernardini sono i protagonisti dei gialli Scena del crimine, Trama imperfetta e Torino obiettivo finale editi dai Fratelli Frilli Editori.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

GOODBYE MICHAEL !

  cositragliqualiIl noir è come una notte in attesa di un giorno che non arriverà mai...
È questa la frase che Michael Trapper, venuto a mancare all’affetto dei suo cari ieri pomeriggio all’età di ottantadue anni, ripeteva come un mantra durante ogni intervista. Lui che, con un nome così, non poteva che dedicarsi alla scrittura, vera “trappola” per chi faccia della letteratura la propria ragione di vita.
Michael Trapper, originario di Houlton, una piccola cittadina del Maine, non sarà ricordato come uno scrittore omaggiato dalle masse, ma di certo avrà lasciato un segno indelebile in tutti coloro che ne hanno apprezzato l’opera, a cominciare da quel Bionda da bere (1958) che ne ha segnato l’apprezzato esordio. I protagonisti dei suoi romanzi sono nella maggior parte dei casi persone comuni, sconfitti dal quotidiano e dalla futilità del vivere. Nelle sue storie il confine tra normalità e la follia è spesso labile, forse perché tutto il suo narrare è stato condizionato dalla malattia mentale della madre, suicidatasi quando il giovane Michael frequentava ancora il college.
Di Michael, autore di nicchia, ci piace ricordare anche Il giorno sbagliato (1966) e Così tra gli squali (1968), per molti il suo capolavoro assoluto.
Lo scrittore americano non è stato molto prolifico nella sua produzione e si è ritirato dalle scene noir ancora in giovane età.
Non scriverò mai tanto per scrivere, come molti altri fanno. Si tratta di una cosa troppo seria…
Rispondeva a chi gli ripeteva perché non pubblicasse un nuovo romanzo.
Forse questa è la miglior frase per ricordarlo e per invitare tutti coloro che vogliono a riscoprire il suo cristallino talento.
Poche storie, per me, è venuto a mancare un autore di riferimento.
Troverete in altre pagine, in altri siti la sua dettagliata bibliografia. Ora che è morto, molti torneranno a parlare di lui, di quello scrittore dallo sguardo magnetico e il sorriso sornione.
Voglio solo salutarlo con affetto e sperare che almeno la sua notte sia finalmente finita.
Goodbye Michael!

 

1 2 3